Madri assassine. Intervista alla Criminologa e Psicologa Forense
Roberta Bruzzone
ROMA, 10 AGOSTO 2017 - Ci si chiede
spesso quali motivazioni profonde possano essere celate dietro l'infanticidio:
il crimine più aberrante, feroce e forse innaturale che gli esseri umani
conoscano. Cosa scatta nella mente delle madri assassine? Quanto influisce il
loro vissuto personale, eventuali traumi o abusi, disturbi che possono
insorgere dopo il parto o la mancanza di un adeguato contesto familiare sul
quale poter contare?
La Dottoressa Roberta Bruzzone -
Psicologa Forense, Criminologa Investigativa, Profiler, scrittrice, docente
universitario e Presidente dell'Accademia Internazionale di Scienze Forensi -
spiega ai lettori di InfoOggi le cause dell'infanticidio nella specie umana,
nonché le forme di prevenzione per evitare che il fenomeno si verifichi.
Dottoressa Bruzzone, non tutti i
crimini sono conseguenza di disturbi mentali. È così anche riguardo le cause
dell'infanticidio?
“Ciò che emerge chiaramente
dall’analisi criminologico-forense di questa fattispecie criminale è che, per
quanto riguarda i delitti in ambito familiare e principalmente quando è la
donna, madre, moglie o figlia, a vestire i panni dell’assassina, spesso ci
troviamo di fronte ad una elevata aspettativa sociale di “anormalità”, che
trova debito riscontro nell’elevatissima incidenza delle richieste di perizia
psichiatrica in questi casi. La presunta follia in preda alla quale l’assassina
avrebbe agito diventa una sorta di “ansiolitico” collettivo. Nella mente della
maggior parte delle persone sembra innescarsi il seguente meccanismo: “l’ha
ucciso/a perché è pazza quindi una cosa del genere non può succedere a me che
pazza/o non sono”. Purtroppo l’analisi dei molti casi che rientrano a pieno
titolo all’interno di tali scenari ci dicono chiaramente che, accanto a madri
immature che vengono colte dal panico al momento del parto, esistono madri, e
purtroppo molte più di quanto ci piacerebbe pensare, che arrivano non solo a
premeditare il delitto ma anche a mettere in atto dei veri e propri tentativi
di depistaggio e, nel tentativo di farla franca, raccontano episodi di
vittimizzazione mai avvenuti. Probabilmente occorrerebbe farsi qualche domanda
in più sul cosiddetto “Istinto materno” dal momento che, come tutti i
comportamenti umani del resto, ad una più attenta analisi sembra ben lungi dall’essere
determinato biologicamente. Certo, la “spiegazione” psicopatologica ci seduce
da almeno due prospettive in quanto ci permette, da un lato, di fornire
comunque una spiegazione – “la follia” – e, dall’altro, di allontanare da noi
la possibilità di commettere un atto così atroce, dal momento che matti non
siamo o, almeno, non crediamo di essere”.
Quali sono i fattori predisponenti
e scatenanti? Hanno maggiore influenza cause biologiche, psicologiche o
sociali?
“Un famoso studio condotto dallo
psichiatra Philip Resnick sull’infanticidio ci fornisce degli utilissimi
spunti. Resnick aveva trovato che le madri che uccidono i loro bambini non più
neonati spesso sono psicotiche, depresse e nutrono ideazione suicidaria mentre
le madri che uccidono i loro neonati solitamente non sono affette da tali
psicopatologici di tale gravità. Fu proprio tale osservazione di carattere
prettamente statistico che spinse Resnick a ritenere che la categoria delle
“infanticide” dovesse essere a sua volta suddivisa in neonaticide (quando viene
ucciso un bambino entro il suo primo giorno di vita) e figlicide (in tutti gli
altri casi). Si possono tuttavia descrivere una serie di scenari situazionali e
motivazionali del figlicidio materno in un continuum che va dall’assenza di patologia
a carico dell’omicida via via verso le forme di patologie più gravi ed in grado
di inficiare del tutto la capacità di determinarsi (quindi l’imputabilità in
sede giudiziaria). Ma c’è un elemento, sempre più ricorrente purtroppo, che in
queste storie sconvolge ancor più profondamente perché dimostra l’esistenza di
una lucida ferocia in molte di queste madri: il tentativo di dissimulare
l'infanticidio, alterando la scena del crimine, depistando gli inquirenti
magari attraverso la simulazione di un incidente fatale e attribuendo la
responsabilità a terzi non ben identificati. E Veronica Panarello non è certo
la prima ad aver tentato tale sciagurata traiettoria. Anche Maria Patrizio, la
mamma di Lecco che ha annegato Mirko, il figlio di cinque mesi, nella vasca da
bagno ha cercato di farla franca simulando una improbabile rapina. Ma non è
l'unica. Anche Olga Cerise, la donna che il 24 giugno 2002 annegò i figli
piccoli in un laghetto nei pressi di Aosta, aveva cercato di depistare gli
inquirenti sostenendo la tesi che i figli fossero annegati per un malaugurato
incidente”.
Nei casi di cronaca degli ultimi
anni, pensa che alcune cause di infanticidio siano riconducibili alla spinta
imitativa derivante dai media?
“No, non credo che l’influenza dei
media (che parlano di queste vicende sempre più spesso) possa innescare una
spinta emulativa per questa categoria di omicidi. Si tratta di scenari
intrapsichici e relazionali molto complessi che non risentono particolarmente
di ciò che viene raccontato in Tv o sui social media”.
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