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sabato 22 ottobre 2016




 A MADDALONI  NELLO STUDIO MEDICO MANFREDONIA ALLE ORE 14 DEL 9 OTTOBRE DEL 1954 DOVE UN PADRE DI 4 FIGLI UCCISE LA MOGLIE CON 2 COLTELLATE NELLO STUDIO DEL MEDICO RITENUTO SUO PRESUNTO AMANTE
QUANDO L’UXORICIDIO NON ERA UN FEMMINICIDIO

Il  delitto accadde a Maddaloni  nello studio medico Manfredonia alle ore 14 del 9 ottobre del 1954

PADRE DI 4 FIGLI UCCISE LA MOGLIE CON 2 COLTELLATE NELLO STUDIO DEL MEDICO RITENUTO SUO PRESUNTO AMANTE

 

QUANDO L’UXORICIDIO NON ERA UN FEMMINICIDIO

 

FU ARRESTATO IN OSPEDALE DOVE CON L’ARMA ANCORA INSANGUINATA   AVEVA TENTATO DI FINERE LA MOGLIE SE NON FOSSE GIA’ SPIRATA. UN  RIBUTTANTE CINISMO, MENTRE L’ACCOMPAGNAVANO AL CARCERE CHIESE AI CARABINIERI: “ORA CHE NON HO PIU’ MIA MOGLIE MI POSSO RISPOSARE?”. IN GIUDIZIO SOSTENNE IL DELITTO D’ONORE…MA NON FU CEDUTO….

 

 

 

Maddaloni – Verso le ore 14 del 9 ottobre del 1954 i carabinieri di Maddaloni, ricevevano dal locale ospedale civile un rapporto attestante che alle ore 13 dello stesso giorno era deceduta – poco dopo il ricovero – per anemia acuta, Rosina Consoli che presentava due ferite da arma da punta e taglio penetranti in cavità, l’una sulla marginale dello sterno sinistro e l’altra sull’ascellare anteriore sinistro. Venuti a conoscenza che autore delle lesioni era stato il marito della donna Michele  Arcangelo Otranto, ne facevano inutilmente ricerche presso il domicilio. Se non che portatiti all’ospedale per i rilievi necroscopici lo incontravano in una corsia e lo traevano in arresto dopo averlo disarmato di un lungo coltello a lama fissa con ancora evidenti tracce di sangue. L’uomo, sottoposto ad interrogatorio, fatta la storia della sua vita con la Rosina – con la quale aveva procreato ben 4 figli e delle sue ristrettezze economiche conseguenti al suo licenziamento dallo stabilimento di carni insaccate di Igino Fulgieri  faceva presente lo stato di acuto dissidio creatosi con la moglie che, da tempo ammalata ed in cura presso il Dr. Michele Manfredonia, lo accusava di avere relazione con altra donna e di disinteressarsi della sua riassunzione al lavoro. Precisa altresì  che il mattino del 9 ottobre sempre a causa del suo stato di disoccupazione, aveva avuto un altro vivace diverbio con la moglie cui aveva finito col rivolgere delle minacce ove avesse insistito nel suo atteggiamento. La moglie gli aveva proibito di recarsi a Caserta per il disbrigo di certe faccende riguardanti il fratello del Dr. Manfredonia cui egli di solito rendeva dei servizi pur di guadagnare qualcosa e per ciò egli a sua volta le aveva inibito di recarsi ulteriormente dal dr. Manfredonia  data la evidente inutilità delle cure da costui da lungo tempo praticatele. Esasperato da questi continua litigi egli poco dopo si era munito  di un coltello da cucina e si era portato nell’ambulatorio del Dr. Manfredonia dove la moglie si era – malgrado il suo divieto – recata. Quivi, ripresa la discussione e accecato dall’ira per i rinnovati rimproveri della moglie, l’aveva, alla presenza del Manfredonia, colpita col coltello. Quindi, dopo essersi portato a casa a salutare i bambini si era recato all’ospedale per assumere notizie circa le condizioni della moglie venendo arrestato.

Inferse un primo colpo al petto. Mentre era sulla lettiga, soccorsa dal medico presente, sferrò un altro colpo mortale.

 

Il Dr. Michele Manfredonia dichiarava di aver avuto da tempo in cura la Consoli e di aver talvolta assistito a litigi fra costei e l’Otranto a causa delle loro misere condizioni economiche provocate dalla disoccupazione dell’Otranto che per ciò gli sbrigava qualche servizio. Precisa che quella mattina la Consoli si era poi presentata nel suo ambulatorio per farsi praticare una siringa e mentre egli attendeva il ritorno della sua infermiera Gina Ferrara, incaricata di acquistare dell’alcool di cui era rimasto sfornito, era sopraggiunto lo Otranto che si era messo a confabulare con la moglie. Ad un tratto però aveva sentito un lamento e si era accorto che la donna era stata accoltellata dal marito aveva cercato perciò di soccorrere la Consoli con lo aiuto dello stesso Otranto il quale però, alla presenza anche della Ferraro in quel momento rientrata, aveva inferto alla moglie un secondo colpo di coltello. Il Manfredonia aggiungeva che insieme con lo Otranto era riuscito a rintracciare il Dr. Colantuono ma quest’ultimo consigliò – data la gravità delle ferite – di trasportare la donna all’Ospedale di Maddaloni. La Gina Ferrara confermava le dichiarazioni rese dal Manfredonia in ordine al secondo colpo di coltello precisando che l’Otranto tale colpo l’aveva inferto dopo aver richiamato la sua attenzione con le parole: “Guarda… guarda…Gina”. I carabinieri nel confermare lo stato di dissidio esistente per le tristi condizioni economiche fra la Consoli e l’Otranto riferivano altresì che quest’ultimo – poiché dalla voce pubblica era venuto a conoscenza che la moglie in cura da tempo presso il Dr. Manfredonia, aveva contratta con costui relazione intima aveva sospettato che la insistenza della moglie perché egli si fosse procurato un lavoro fossero dettate dal desiderio di rimanere più libera e per ciò aveva minacciato di morte la moglie nel caso avesse continuato a frequentare l’ambulatorio del medico. Tale minaccia appunto l’Otranto aveva attuata con premeditazione e con ributtante cinismo rivelato anche dalla domanda loro rivolta mentre era tradotto al carcere, sulla possibilità, liberatosi ormai della moglie di sposarsi si nuovo.

Attribuiva alla moglie una relazione extraconiugale con il medico presso il quale era in cura. Ma era falsa.

 


I carabinieri pertanto denunciavano l’Otranto – in stato di arresto – quale responsabile di uxoricidio aggravato e di porto abusivo di coltello di genere proibito. Anche innanzi al Pubblico Ministero l’Otranto confermava le sue dichiarazioni. Al termine dell’istruttoria formale l’Otranto venne rinviato al giudizio della Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere. Nella motivazione vi era detto: “Non possono sussistere dubbi sulla materialità del fatto poiché è pacifica - anche per la esplicita ammissione dell’imputato – che questi nello studio del Dr. Michele Manfredonia alla presenza di costui e della sua infermiera Gina Ferraro, cagionò la morte della moglie Rosa Consoli con due colpi di coltello di cui il secondo – poiché il primo non era penetrato in cavità per l’urto della lama contro lo sterno – trapassò il ventricolo destro del cuore ed il lobo inferiore del polmone sinistro provocando un imponente  versamento di sangue nel sacco pericardico e nel cavo pleurico. Conviene quindi soffermarsi sull’indagine dei motivi che indussero l’Otranto ad uccidere la moglie giacchè egli assume di aver agito a causa d’onore. L’indagine chiariva anche alcune modalità dell’azione delittuosa che la difesa dell’imputato ha ritenuto talmente strana da rendere a suo giudizio indispensabile quell’indagine psichiatrica che la Corte ritiene invece inconferente.

Una lettera anonima a lui giunta lo indicava come “cornuto”. Volle rivendicare un delitto d’onore ma non fu creduto

                                         
L’Otranto nell’interrogatorio reso in udienza ha sostenuto di aver colpito la moglie per averla sorpresa, discinta le vesti ed il petto nudo appena coperto dalle mani, accanto al Dott. Manfredonia suo medico curante, in atteggiamento cioè inequivocabile specie a causa delle voci correnti da tempo in paese circa una sua tresca appunto col detto medico. Se non che basta confrontare tali dichiarazioni, così ricche di particolari e tendenti a raffigurare addirittura una sorpresa in flagrante adulterio della moglie con l’interrogatorio reso subito dopo l’arresto ai carabinieri ( poichè quello reso l’indomani  al pubblico ministero già avanza unitamente al biglietto fatto tenere dal carcere al padre e da costui perciò tanto sollecitamente esibito al pubblico ministero) la mistificatrice tesi difensiva sostenuta poi con tanto calore in udienza per comprendere come l’Otranto cerchi – pur deducendo di essere sceso a patti con il preteso amante della moglie durante lo svolgimento del sanguinoso episodio – di contrabbandare come “delitto d’onore” un delitto determinato invece soltanto dal “bestiale rancore” da tempo covato la moglie colpevole soltanto di non aver sopportato che egli, a seguito di licenziamento si fosse adattato a vivere di espedienti a sbrigar qualche servizio al Dr. Manfredonia ed al fratello di costui,  menando a sicura rovina la numerosa famiglia. Non vi è  infatti alcuna prova nel processo della assunta tresca della Consoli col Manfredonia; essa è ignorata dalla generalità dei parenti dell’Otranto ed i carabinieri ne sentirono parlare in paese solo dopo l’omicidio ed incontrollatamente giacchè neppur l’Otranto che invece avrebbe dovuto reprimere proprio e loro per primi la disperazione per il disonore arrecatogli dalla moglie, ne fece loro cenno avendo ad essi indicato invece il suo gesto solo come ribellione allo stato di insofferenza della moglie e una reazione iraconda al dissidio da tempo esistente con costei. Se è vero, a causa della indiscutibile attendibilità del testimone, che  all’Igino Fulgieri, già datore di lavoro dell’Otranto erano stati recapitati degli anonimi nei quali l’Otranto medesimo, allora suo dipendente era qualificato “cornuto”; se non può neppure contestarsi che un certo imbarazzo si è notato nelle parole del Dott. Manfredonia allorquando è stato posto a confronto col padre dell’imputato che gli contestava di averlo avvertito delle dicerie in giro, onde non può sospettarsi della sussistenza di questo, è da escludersi  tuttavia nel modo più assoluto che l’imputato avesse quando meno sospetti sulla fedeltà della moglie tanto è vero che egli continuava a viver gran parte della giornata in casa del Dr. Manfredonia ed ancora dippiù che egli avesse sorpreso la moglie in atteggiamento descritto dal Dr. Colantuono subito accorso constatò che la donna era compostamente vestita.
Il delitto fu il culmine   di una vita sempre più miseranda.

La circostanza poi che l’Otranto non solo non aggredì anche il Dr. Manfredonia ma si accompagnò addirittura a lui nel trasporto della moglie all’ospedale non essendo plausibili i motivi addotti (e che comunque, indicherebbero qual strano concetto dell’amore abbia lo Otranto) sta a confermare che egli accoltellò la moglie per ben altri motivi e ad escludere la successiva versione che mal si concilia d’altronde con la circostanza che la porta dello studio era, com’è pacifico, aperta e con la possibilità non contestata dall’Otranto di liberamente accedere in casa Manfredonia. Il complesso delle risultanze processuali, le lettere esibite dai genitori della Rosina Consoli, offrono invece la prova che un aspro dissidio divideva da qualche tempo la Consoli e l’Otranto perché costui aveva qualche anno prima tradita la fede coniugale (episodio sostanzialmente non negato dall’imputato e riferito dai suoi suoceri che dovettero perciò accorrere dalla Sicilia) perché l’Otranto licenziato per cattivo rendimento dal Fulgieri si era adattato –come si è detto – a vivere alla giornata sbrigando qualche faccenda al Dott. Manfredonia ed al fratello di costui, a perdere il tempo nella di lui automobile, pensando di procurare al Manfredonia un ricco matrimonio, con le numerose gite in Sicilia, che delle sorti della propria  numerosa famiglia (4 figli in tenera età)  ai cui bisogno difatti i suoceri con rimesse di denaro avevano dovuto più volte provvedere a seguito di pressanti lettere dell’Otranto non prive di minacce per la povera figlia. Orbene – concludono i giudici – fu proprio questo stato di acuto dissidio inasprito dalle ristrettezze economiche che imbestialì l’Otranto e gli fece concepire – dopo un ennesimo litigio  avuto con la moglie la notte  precedente  a quello stesso mattino del 9 ottobre (come egli a confidare alla infermiera Gina Ferraro) la soppressione della infelice sua moglie insofferente ormai – fors’anche a causa del suo  stesso stato di salute – di una vita sempre più miseranda”.








FU ARRESTATO IN OSPEDALE DOVE CON L’ARMA ANCORA INSANGUINATA   AVEVA TENTATO DI FINERE LA MOGLIE SE NON FOSSE GIA’ SPIRATA. UN  RIBUTTANTE CINISMO, MENTRE L’ACCOMPAGNAVANO AL CARCERE CHIESE AI CARABINIERI: “ORA CHE NON HO PIU’ MIA MOGLIE MI POSSO RISPOSARE?”. IN GIUDIZIO SOSTENNE IL DELITTO D’ONORE…MA NON FU CEDUTO….

LA CONDANNA FU A 20 ANNI DI CARCERE. RIDOTTI A 14 IN APPELLO CON IL RICONOSCIMENTO DELLA PROVOCAZIONE. IL P.M. AVEVA CHIESTO L’ERGASTOLO

LA CONDANNA FU A 20 ANNI DI CARCERE. RIDOTTI A 14 IN APPELLO CON IL RICONOSCIMENTO DELLA PROVOCAZIONE. Il P.M. aveva chiesto l’ergastolo

 


Sia in sede di istruttoria che in dibattimento (dove peraltro si costituì parte civile il padre della vittima Biagio Consoli, da Misterbianco -Sicilia)  la difesa tentò di accreditare la tesi della pazzia. Ma i giudici non caddero nel tranello e rigettarono per ben due volte la richiesta di una perizia psichiatrica. E chiarirono “ritenuto che  la difesa dell’imputato fonda la sua istanza non già su pregresse malattie del giudicabile o dei suoi familiari, capaci di menomare  la capacità di intendere e di volere dell’imputato ma unicamente su talune modalità dell’esecuzione del delitto e in taluni atteggiamento dell’imputato. La Corte osserva che tali circostanze e tali atteggiamenti – peraltro contestati dall’imputato medesimo – non costituiscono assolutamente indizio di una sua infermità mentale che viene anzi esclusa dal di lui comportamento processuale pienamente logico e ordinato. Pertanto rigetta l’istanza di ammissione della perizia psichiatrica”. Durante il suo interrogatorio in udienza l’Otranto rese la sua dichiarazione cercando di dare una spiegazione “logica” al suo insano gesto della soppressione della moglie paventando –ancora una volta la tesi del tradimento e giustificando il suo gesto come un “delitto d’onore”. “Io ero macellaio – disse al Presidente – presso lo stabilimento di Igino Fulgeri  a Pignataro Maggiore,  ed avevo sposato la Rosa Consoli nel 1947 avevo avuto da lei tre figlie femmine ed un maschio. Non sono stato mai ammalato (smentendo, così i suoi stessi difensori, che insistevano per la perizia psichiatrica) ed ho prestato servizio militare nell’ultima guerra per cinque anni nel corpo di sussistenza. Nell’aprile del 1954 per riduzione di personale ero stato licenziato (lui non dice per scarso rendimento) poiché fin da quando ero occupato sbrigavo delle mansioni al dr. Manfredonia quando fui licenziato mi occupai ancora di più di dette mansioni anche perché mia moglie era in cura presso detto dottore per una malattia che mi diceva inguaribile. Fin da qualche anno prima del delitto si sparse la voce nel rione che mia moglie se la intendeva col dott. Manfredonia”. 


Avv. Sen. Francesco Lugnano 



A questo punto il pubblico ministero chiese: “Ma chi vi informò della presunta tresca col dottore?”.   E lui precisò: “Furono i miei familiari a parlarmi da tale voce e ciò un anno prima del delitto perciò io avevo ingiunto a mia moglie di sospendere le cure ma lei non mi dette retta ed i litigi per questi motivi erano frequenti”. E’ vero che io nel 1951 venni affrontato da Michele Campolattaro il quale mi accusò di una relazione con la moglie. Il pubblico ministero chiese ancora: ”Ma voi coglieste in flagranza adulterio vostra moglie?”. “Quando ritornai  nello studio trovai che mia moglie e il dott. Michele Manfredonia erano vicini alla lettiga. Accanti l’uno all’altro, intendendo discutere la cosa col medico invitai mia moglie ad allontanarsi ed ella nello svincolarsi della mia stretta lasciò aperto il suo pullover lasciandomi notare che di sotto stava scompigliata con le vesti ed aveva il petto nudo. Nel pugno che io le avevo sferrato mia moglie  stringeva il medaglione con cui appuntava il pullover. Perduta la testa io vibrai col coltello due colpi a mia moglie  l’un dopo l’altro, e non è affatto vero che io avessi tentato di soccorrere mia moglie dopo il primo colpo. Infuriato ancora mi rivolsi contro il medico per aggredirlo ma egli riuscì a farmi desistere dal mio proposito richiamando la mia attenzione sui miei figlioli. Poi andai all’ospedale dove appresi che mia moglie era morta e fui arrestato”.  Arcangelo Michele Otranto, in definitiva, per aver ucciso la moglie fu condannato dalla Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere, composta dal  Presidente Giovanni Morfino dal  giudice a latere, Renato Matrocinque; e dal pubblico ministero, Nicola Damiani, che al termine della sua requisitoria aveva chiesto l’ergastolo  ad anni 20 di reclusione. In  Corte di Assise di Appello composta dal  Presidente, Vincente Di Mattia dal giudice a latere  Rolando Tafuri e dal  procuratore generale, Roberto Angeloni,  con la concessione delle attenuanti della provocazione i giudici ridussero la pena ad anni 14. La perizia medico-legale era stata redatta dai periti dott. Giovanni Burrelli e Mario Pugliese. Nei tre gradi di giudizio furono impegnati gli avvocati: Francesco Lugnano, Nino Geraci e Alberto Martucci.    





LUNEDI’ 24 OTTOBRE  ’16
NELLA RUBRICA CRONACHE DAL PASSATO
A CURA DI FERDINANDO TERLIZZI
SUL QUOTIDIANO CRONACHE DI CASERTA
E ON LINE SU “SCENA  CRIMINIS”
POTRETE LEGGERE TUTTI I RETROSCENA DEL DELITTO 

 
Avv. Prof. Alberto  Martucci 

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