ESECUTORI E MANDANTI DI UN
CLASSICO DELITTO DI MAFIA IDENTIFICATI DOPO 27 ANNI. IL VIGILE ANTONIO DIANA UCCISO IN UNA PUBBLICA
STRADA MENTRE REGOLAVA IL TEAFFICO. SETTE COLLABORATORI DI GIUSTIZIA HANNO
RACCONTATO I RISVOLTI DELLA VENDETTA DEI CASALESI MA LA VITTIMA ERA UN VENDUTO E UN TRADITORE
Il Giudice per le Indagini preliminari Isabella Iaselli, su precisa richiesta
dei pubblici ministeri della DdA, Simona
Rossi e Catello Maresca, ha
emesso 7 ordinanze di custodia cautelare in carcere per altrettanti affiliati
al clan dei casalesi per un omicidio perpetrato ai danni di un vigile urbano di Aversa. La richiesta di
misura cautelare – è scritto nel comunicato – si fonda sulla ricostruzione di
un omicidio avvenuto 27 anni fa nell’ambito della guerra tra l’emergente gruppo
dei casalesi e il vecchio gruppo Bardellino. La ragione per la quale si procede
a distanza di così tanto tempo è chiara: al momento il muro di omertà non
consentì di raccogliere elementi di prova (eppure su trattò dell’omicidio di un
vigile avvenuto in pieno centro di sabato pomeriggio nel traffico)
Successivamente sono intervenute le dichiarazioni dei collaboratori – che hanno
consentito di ricostruire la grave vicenda –quando vi è stata la collaborazione
di chi partecipò personalmente. Le ordinanze di custodia in carcere sono state
notificate a: Antonio Basco, Giuseppe Caterino, (Peppinotto e tre
bastoni); Giovanni Diana (detto
Giannino o’ pazzo); Raffaele Diana (
Rafilotto); Francesco Mauriello; Francesco Schiavone, (Sandokan) e Pasquale Spierto. Antonio Diana era un
vigile urbano di San Cipriano ucciso perché sospettato di aver tradito i
Casalesi facendo da specchiettista per l’omicidio di uno di loro. Era il 1989 e
la vittima aveva solo 30 anni. Da oggi gli assassini di Diana hanno un nome e
un volto: sono stati arrestati questa mattina dai carabinieri del Nucleo
operativo del Reparto territoriale di Caserta, agli ordini del tenente
colonnello Nico Mirante, coordinati
dalla Dda di Napoli. Sei di loro hanno ricevuto l’ordinanza in carcere, un
settimo era libero. C’era anche il boss Antonio
Iovine nel commando di fuoco che uccise Diana su ordine di Francesco Schiavone Sandokan, all’epoca
boss emergente, che riteneva la vittima coinvolta nell’omicidio di un suo uomo
e legata al boss Antonio Bardellino.
Tra mandanti ed esecutori materiali di quell’omicidio c’è Iovine, nella veste
di collaboratore di giustizia. Diana, secondo quanto si è appreso dal pentito,
sarebbe stato colui che “aveva dato la battuta”, come dicono in gergo i
camorristi, era stato cioè il componente della banda a cui era stato affidato
il compito di segnalare ai killer la presenza dell'obiettivo. Il tutto avviene
in un clima teso determinato dalla scissione del clan di Bardellino in cui
nascono gruppi mafiosi antagonisti, tra i quali si inquadra quello di Sandokan,
e in un contesto, quello di San Cipriano d'Aversa, dove la criminalità
organizzata controllava praticamente tutto l’apparato amministrativo della
città. Come agente della Polizia Municipale, infatti, lavorava Giuseppe Iovine
(fratello dell’ex boss Antonio) mentre il fratello di Giuseppe Caterino, detto
Peppinotto, altro elemento di spicco della mafia casalese, era responsabile
dell’ufficio tecnico.
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