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domenica 11 settembre 2016

  

II delitto accadde nella Frazione “Mandre” in agro di  Santa Maria a Vico   in via Bracciale nei pressi del passaggio a livello della Ferrovia Cancelllo-Benevento
 il 30 agosto del 1953

L’IMPRENDITORE ANTONIO PALERMO UCCISE UN SUO  CONCORRENTE
 VINCENZO PASCARELLA 

Uno schizzo del luogo del delitto 

La vittima era stata alle dipendenze dei Palermo poi vendeva le gazzose prodotte dai Della Rocca diretti concorrenti. L’accusa voleva coinvolgere Clemente Palermo, padre del giovane,  quale istigatore e mandante del delitto. Una sorella dell’assassino era fidanzata con il figlio della vittima. Il monopolio per la vendita delle gazzose provocò il delitto.

 Santa Maria a Vico – Con segnalazione  del 30 agosto del 1953, i carabinieri  informavano il Pretore di Arienzo che verso le ore 9:30 di quel giorno il 19enne Antonio Palermo, figlio di Clemente  Palermo (che aveva una fabbrica di bibite e gazzose)  era venuto a diverbio per vecchi rancori con tale Vincenzo Pascarella detto “Raffaelotto”,  e lo aveva ucciso con alcuni colpi di pistola. Ai carabinieri era stato trasmesso nel contempo - dal Giudice Istruttore presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere - un esposto con cui in data 2 settembre la moglie dell’ucciso Antonietta Marciano, rappresentando la tensione dei rapporti fra il marito ed il padre dell’uccisore Clemente Palermo segnalava che la voce pubblica indicava costui quale istigatore del delitto. I militi della Fedelissima informati del crimine verso le 10:00 si erano portati sul luogo rinvenendo in via Bracciale, a circa 30 metri  dal passaggio a livello della linea ferroviaria “Cancello-Benevento”, il cadavere del Pascarella che presentava “una ferita strisciante al lato posteriore del braccio ed una ferita pure d’arma da fuoco all’emitorace”. A 45 metri  più in giù del cadavere verso l’abitato su di un ripiano di uno dei  muri delimitanti la strada  e precisamente di quello sul lato destro di essa -  per chi dall’abitato di Santa Maria a Vico si dirige al passaggio a livello e quindi alla frazione “Mandre” era stato rinvenuto un  coltello a serramanico aperto la cui presenza era stata fatta notare al carabiniere Angelo Paulen da uno delle persone accorse sul luogo del delitto prima di loro. Identificato lo sparatore nella persona di uno dei figli del  Clemente Palermo e precisamente Antonio, datosi difatti alla latitanza, i verbalizzati facevano presente i rapporti fra la vittima, Antonio Palermo ed il padre di costui. I rapporti  erano tutt’altro che buoni in quanto il Pascarella - che per alcuni anni era stato impegnato teso alla distribuzione delle gazzose fabbricate da Clemente Palermo -  licenziatosi per motivi economici, aveva intrapresa la vendita per proprio conto e nello stesso abitato di Santa Maria a vico, delle bibite che acquistava  però dalla fabbrica di tale Alfonso Della Rocca da San Felice a cancello, suscitando l’animosità di Clemente Palermo del di lui figlio Antonio il quale, per evidenti istigazione di quello, provocava continuamente incidenti ed alterchi col Pascarella onde costringerlo a rinunciare alla sua non tollerata concorrente sua attività.
Il luogo ove era appostato l'assassino 


La mattina del 30 agosto il Pascarella  e Antonio Palermo si erano incontrati - con i rispettivi carretti -  in via Artolella della frazione “Mandre” e come il solito erano venuti a diverbio nel corso del quale-  a dire di  Maria De Lucia, il Pascarella aveva pronunciate parole minacciose all’indirizzo del giovane che senza rispondere loro aveva guardato minacciosamente. Dopo tale incidente, mentre il Pascarella si era ancora per un pò trattenuto nella zona - il Palermo era discesa verso via Bracciale fermandosi vicino al passaggio a livello in attesa del Pascarella. Poco dopo infatti questi aveva raggiunto al passaggio a livello che però aveva trovato chiuso; atteso il passaggio del treno e venduto qualche gazzosa alla casellante Antonietta Petriccione si era a sua volta immesso nella via Bracciale che dal passaggio a livello -  fra due alti muri -  mena al grosso dell’abitato di Santa Maria a Vico.

Senonché addentrandosi in tale strada era stato,  qualche minuto dopo,  fatto segno da parte di Antonio Palermo a colpi di arma da fuoco uditi dalla stessa Petriccione.


Maria De Lucia e Antonietta Nuzzo -  le quali assumevano  di aver notato il Palermo in attesa  e di aver assistito al cruento episodio. In base alle dichiarazioni anche della casellante Petriccione - che escludeva che altri, prima e dopo il Pascarella, fosse transitato per il passaggio a livello - alla deposizione di Pasquale De Lucia  - che accorso al rumore nell’unico colpo percepito aveva scorto il Pascarella “tornar di corsa verso il passaggio a livello e poi stramazzare a terra morto” – non aveva notato nei pressi alcun coltello. Dal canto loro i carabinieri indicavano come “compiacenti” le dichiarazioni di Marco Migliore, il quale, presentatosi spontaneamente in caserma il pomeriggio dello stesso giorno del delitto,  aveva dichiarato che transitando per il posto  - a bordo della sua moto -  aveva notato il Pascarella brandire un coltello – mentre il Palermo, rimasto seduto sul suo carretto gli aveva esploso contro un colpo di pistola.  Per le stesse ragioni i verbalizzanti ritenevano “non rispondente al vero” ma “frutto di consiglio e suggerimento” quanto aveva loro dichiarato Antonio Palermo che, costituitosi il 2 settembre, aveva affermato che “egli aveva sopportato le ingiurie che senza motivo gli aveva rivolto il Pascarella col quale in passato non aveva mai avuto questioni; che oltrepassato il passaggio a livello era stato raggiunto dal Pascarella che ingiungendogli di fermarsi perché lo doveva uccidere gli si era avvicinato brandendo un coltello; che egli, allo scopo di intimorirlo e sempre rimanendo sul carro, aveva esploso in aria un colpo della sua rivoltella 7,65 contro l’avversario che però aveva tanto insistito nel suo atteggiamento aggressivo da costringerlo a discendere dal carro ed esplodere contro di lui un secondo colpo”.
 
La vittima 

Pertanto e poiché la vedova del Pascarella aveva accennato a minacce di morte fatta per al marito anche dall’altro figlio del Clemente Palermo; poiché il figlio della vittima Mario, fidanzato per qualche tempo con la figliola del Palermo, Ornella, era stato da costei scongiurato in varie lettere di esortare il proprio genitore a desistere dalla sua attività commerciale ed altro figlio della vittima aveva assicurato l’appartenenza ai Palermo del coltello repertato; poiché infine la teste Antonietta Di Maro aveva rivelato di aver sentito il gestore del ristoratore della stazione Aurelio De Lucia accennare discretamente con la moglie, la presenza di Clemente Palermo, nei pressi del luogo del delitto subito dopo di esso i carabinieri, (malgrado che Aurelio De Lucia avesse negato tale circostanza)  esprimevano il convincimento che effettivamente istigatore del delitto era stato Clemente Palermo, uomo violento, scaltro e  di grande influenza sui figli.
Il delitto, al quale non dovevano essere rimasti estranei altri parenti dello sparatore - fra i quali lo zio Armando Palermo, che subito dopo il delitto aveva infatti provveduto a porre al sicuro il giovane riappropriandosi dell’automobile di tal Domenico De Lucia – era stato (secondo gli inquirenti)  organizzato proprio dal  Clemente Palermo il quale dopo aver cercato in tutti i modi di stroncare la concorrente attività del Pascarella  non aveva esitato neppure a prestare assistenza al figlio durante la consumazione stessa del delitto essendo rimasta accertato che il coltello rinvenuto nella “resega” del muro era stato messo in qual posto proprio da lui -  che dall’alto del muro medesimo aveva cercato nel miglior modo possibile -  a causa del sopraggiungere della De Lucia e Della di Nuzzo di creare al figlio un valido motivo di giustificazione e quindi un alibi di “legittima difesa”.  

I carabinieri – in definitiva – denunciarono Antonio Palermo quale responsabile di omicidio premeditato in persona di Pascarella ed il padre – resosi nel frattempo latitante -  per concorso in tale delitto.
 
Un documento del processo 
Durante la formale istruzione, dopo che Antonio Palermo aveva sostanzialmente confermato la versione resa all’atto della costituzione, i carabinieri -  dopo aver trasmesse le  dichiarazioni di Assunta Piscitelli, circa un altro incidente che si sarebbe verificato lo stesso  30 agosto tra il Pascarella e Antonio Palermo nella frazione Mandria -  informavano che era stato possibile accertare in modo inconfutabile a seguito delle rivelazioni di Raffaele Savinelli che a spalleggiare Antonio Palermo durante la commissione del delitto era stato il di lui genitore e inoltravano le dichiarazioni del Savinelli (il quale aveva sostenuto  che dal suo terreno, in via Bracciale  aveva scorto Clemente Palermo che dall’alto del muro -  sito all’altro lato della strada -  aveva dato,  dopo gli spari,  consigliato al figlio di porre un coltello accanto al cadavere del Pascarella e quindi di fuggire e farsi i fatti suoi). Inoltravano i militi della Benemerita anche le dichiarazioni di    Anna Valentino e Carmela Nuzzo ( questa ultima aveva affermato di aver notato - circa dieci minuti prima di aver appreso del delitto -  Clemente Palermo  prevenire con il suo furgoncino dal viale antistante la stazione). 

Con altra nota i verbalizzanti trasmettevano le dichiarazioni di Elena Salvatore la quale aveva assunto d’aver assistito -  transitando proprio per Via Bracciale - alla uccisione del Pascarella e di aver inteso, dopo gli spari, una voce di uomo che diceva allo sparatore: “L’hai fatto?  Se non l’ hai fatto vengo io”.  Gli investigatori dell’Arma riferivano ancora che il teste Savinelli aveva indicato  Paolo Manna quale persona che avrebbe potuto confermare la sua versione dei fatti e segnalavano agli inquirenti che “vox populi” in paese circolava la voce secondo la quale il Savinelli aveva deposto il falso a causa di antichi rancori verso il Clemente Palermo per motivi di contrasti e di interessi.  Nel corso della istruzione venivano acquisite agli atti cinque lettere scritte da Ornella Palermo a Mario Pascarella  suo fidanzato per un tempo e veniva  inoltre accertato che la morte del Vincenzo Pascarella  era stata cagionata da “un colpo di arma da fuoco” che - provocate le due ferite di striscio al terzo inferiore del braccio sinistro -  era  poi penetrato fra il sesto e settimo spazio intercostale sinistro perforando quindi cuore e polmoni e fermandosi alla parte centrale dello sterno.
 
LA ZONA DOVE FU COLPITA LA VITTIMA 

Fonte: Archivio di Stato di Caserta  


La condanna fu ad anni 24  per Antonio Palermo e assoluzione per Clemente Palermo  ( che prima dell’appello  morì).  In secondo grado la condanna - con la concessione delle attenuanti generiche - fu ridotta ad anni 14


Sulle conformi richieste del pubblico ministero il giudice istruttore, con sentenza del 31 luglio del 1954, dichiarato estinte per amnistia le contravvenzioni ascritte ad Antonio Palermo in ordine all’arma, rinviava il predetto Palermo e il padre Clemente Palermo  a giudizio della Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere, per rispondere di concorso nell’omicidio. Innanzi ai giudici venne rievocato il delitto e gli antefatti. In particolare sullo stato dei rapporti intercorsi,  fin dal gennaio di quell’anno,  fra la vittima  il Clemente Palermo e i figli di costui Antonio e Vincenzo. Il Pascarella  dopo aver atteso per circa cinque anni alla vendita ambulante delle gassose per conto di Clemente Palermo  - titolare di una fabbrica di tale prodotto in Santa Maria a Vico  - nel gennaio di quello hanno abbandonò tale attività che gli permetteva di sfamare la numerosa sua famiglia - a causa del mancato aumento delle percentuali pattuite e della mancata corresponsione di certi assegni familiari, percepiti poi parzialmente (solo a seguito dell’intervento degli organi sindacali). Questo suo atteggiamento (e più ancora essergli egli decisa ad acquistare delle gassose della fabbrica di Alfonso Della Rocca da San Felice a cancello e da rivendere per proprio conto nella stessa zona di Santa Maria a Vico fino ad allora preclusa ad altri commercianti) gli attirarono addosso l’ira di Clemente Palermo che scorgeva in lui un concorrente maggiormente pericoloso per la conoscenza che della piazza aveva il Pascarella a causa proprio del servizio prestato per tanti anni alle sue dipendenze. Tra l’altro il Clemente Palermo, indicato dai carabinieri come persone fortemente temuto sul posto perché ritenuto esponente della malavita locale, non esitò a trascendere ad atti di violenza e di minaccia nei riguardi di quanti continuando a rifornirsi dal Pascarella erano divenuti clienti personali di costui; nè tralasciò di indurre lo stesso Della Rocca, che contrariamente ad altri produttori dei paesi limitrofi pare non avesse avuto timore di fornire il Pascarella, a non cedere le sue gazzosa costui, dichiarandosi perfino disposto a versare un compenso di tre o quattrocento mila lire.
L'AVV. FRANCESCO LUGNANO 


Frequenti – dissero i giudici nella motivazione della sentenza di condanna - divennero pure le minacce ed i dispetti ai danni del povero Pascarella principalmente ad opera di uno dei figli del Palermo cioè dell’Antonio il quale per aver sostituito nel giro di distribuzione della merce il Pascarella era quelli che più frequente occasione aveva di incontrarlo proprio durante la applicazione della sua concorrente attività commerciale. Intanto vi era da registrare l’atteggiamento della vedova del Pascarella, Antonietta Marciano, la qual anche in udienza  aveva confermato alle  esplicite minacce di morte  che erano state rivolte al marito, anche qualche giorno prima del delitto, non solo dall’altro figlio del Palermo di nome Vincenzo ma dallo stesso Clemente Palermo (la circostanza però non fu ritenuta vera in quanto sia lei che il marito nell’esposto ai carabinieri non avevano fatto cenno alla minacce del padre, circostanza confermata nel corso del dibattimento dal maresciallo dei carabinieri Federico Ruffier). “Non può comunque negarsi – affermarono ancora i giudici -  che uno stato di notevole dimensione si era creato tra la famiglia Palermo  ed il Pascarella  dalle lettere che la figliola del Palermo,  Ornella la quale  scriveva  - proprio in quel periodo di tempo al figlio del Pascarella, Mario (che con lei forse di nascosto dei familiari, amoreggiava da qualche anno) e nelle quali la giovinetta “esprimeva addirittura la sua paura per una possibile reazione del vecchio Pascarella alle provocazioni dei propri familiari e per una di lui ulteriore permanenza in paese a contatto continuo dei propri familiari che ella non esitava a qualificare “degli animali”. La Corte di Assise (Presidente Giovanni Morfino, giudice a latere, Giuseppe D’Avanzo; pubblico ministero, Nicola Damiani) emise la  condanna, con la esclusione dell’aggravante della premeditazione, alla pena di anni 24 di reclusione mentre assolse Clemente Palermo dal concorso in omicidio “per insufficienza di prove”. Nei tre gradi di giudizio furono impegnati gli avvocati: Ciro Maffuccini, Alfredo De Marsico, Pompeo Rendina, Vittorio e Michele Verzillo, Alberto Martucci e Francesco Lugnano.  

Fonte: Archivio di Stato di Caserta  


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