Nicola e Francesco Pagano uccisero Roberto Pellegrino per motivi di precedenza
Il delitto accadde il 27
agosto del 1953 nei pressi del Santuario
di Villa di Briano
Il
movente agganciato al traffico dei carretti dell’epoca. L’omicidio avvenne a
seguito di diverbio sorto circa il passaggio e la precedenza dei carri carichi
di canapa, dato che la strada medesima era molto stretta.
Pellegrino:
“se non ti togli di mezzo ti tiro
un colpo di pistola”; Pagano:” “ Piglia
o ribotto, piglia a pistola…!!!
Il delitto accadde il 27
agosto del 1953 nei pressi del Santuario di Villa di Briano
Avv. Sen. Prof. Giovanni Leone |
“…Marconigramma…Alle 12:00 circa
del 27 agosto del 1953, Roberto Pellegrino,
da Villa di Briano, di anni 22, residente alla via Leopoldo Sant’Agata 24, veniva ucciso mediante un colpo di fucile sparato da breve distanza da Francesco Pagano di anni 36, da Casal
di Principe. L’omicidio è avvenuto sulla stradetta che mena dal santuario di
Villa di Briano in agro di Casal di principe, a seguito di diverbio sorto circa
il passaggio e la precedenza dei carri carichi di canapa, dato che la strada medesima
era molto stretta. Il Pellegrino, ancora in vita, veniva trasportato mediante il suo stesso carro agricolo nella propria abitazione di Villa di Briano, durante il tragitto però decedeva. Il cadavere
del Pellegrino è piantonato nella propria abitazione di Villa Di Briano, è in
attesa di intervento e constatazione da parte dell’autorità giudiziaria.
Informata competente territorio arma Casal di Principe. Nel frattempo elaborato indagine per cottura
responsabile che resosi latitante. Segue segnalazione. Firmato il maresciallo maggiore comandante la Stazione
dei Carabinieri Pietro Laboccetta”…
Questo il primo laconico
annuncio dell’ennesimo delitto consumato nel triangolo maledetto “Vico di
Pantano-Albanova-San Cipriano”. Frattanto si andavano ad acclarare i
particolari del fattaccio. Fu appurato che il 27 agosto del 1953 era
pervenuta ai carabinieri di Villa di Briano la notizia secondo la qual
il giovane Roberto Pellegrino era deceduto a seguito di un colpo di fucile.
In proposito il dottor Remo Bruno, rilasciava subito apposito referto nel quale
si precisava che il cadavere presentava “una ferita d’arma da fuoco alla base
dell’emitorace sinistro sulla parte ascellare posteriore della grandezza di
circa 3 cm. con forame di entrata e con traettoria
dall’alto verso il basso, con i bordi della ferita dello lacero contusi; che
sulla canottiera del morto si notavano bruciature e granelli di polvere
empirica incombusta e che questi ultimi erano presenti anche sulla cute
circostante la lesione. La mattina del 27 agosto, verso le 12:00 il Pellegrino percorrendo con un carro agricolo
carico di canapa la via che collega il santuario della Madonna di Villa di
Briano con la strada provinciale, si era incontrato con altro carro, pure
carico di canapa procedente in senso inverso, guidata dal giovane Francesco Pagano di Paolo.
L’impossibilità
di incrocio fra i due carri e la fretta di entrambi i conducenti perché il
tempo minacciava la pioggia, determinava, a detta dei verbalizzati, un vivace
litigio fra i due giovani pretendendosi reciprocamente dall’uno che fosse
l’altro a retrocedere e a lasciar libero
il passaggio. Ad un certo punto, secondo la dichiarazione fatta ai dal bracciante Verracchia Luigi, di anni 16
dipendente del Pellegrino, quest’ultimo aveva minacciato l’altro carrettiere
dicendogli: “se non ti togli di mezzo ti tiro
un colpo di pistola”, ed aveva fatto l’atto di estrarre l’arma che aveva
nella cintola. Il Pagano era allora fuggito verso l’abitazione del padre,
distante un centinaia di metri e ne era
ritornato di lì a poco armato di fucile e seguito di altri due uomini armati di
pistola. Affrontato quindi il Pellegrino, che vistosi a mal partito, si era messo a gridare: “Buttiamo le armi… vediamocela con le mani”…
aveva esploso contro di lui un colpo d’arma da fuoco. Gli aggressori si erano
quindi dileguati asportando l’arma della vittima. Il teste Leonardo Gallo, proprietario della canapa trasportato dal Pagano, chiariva
ai carabinieri che dietro al carro di questo ultimo erano stati costretti a
fermarsi, per l’improvvisa difficoltà dell’incontro con il Pellegrino, altri
due carri carichi della sua canapa guidati rispettivamente dal “figlio di Angiolella Mingione e dal figlio di “Bosco”, identificati in seguito per Enrico Cacciapuoti e Alfredo Alemanna. A dire del Gallo la prima parte dell’alterco tra
i due carrettieri si era verificata mentre egli si trovava vicino
all’abitazione della famiglia Pagano intendo a bere acqua insieme al fratello di Francesco
Pagano a nome Nicola. Entrambi,
però erano stati richiamati ben presto dall’improvviso sopraggiungere del Francesco Pagano che entrava nella casa
paterna gridando al germano: “ Piglia o
ribotto, piglia la pistola… I due
fratelli armatisi subito, l’uno di fucile, l’altro di pistola si erano diretti
verso la strada seguiti da esso Gallo maggiormente preoccupatesi per l’incidente
allorchè aveva notato che l’avversario dei Pagano era il Pellegrino suo lontano
parente. Il suo intervento pacificatore si era subito rilevato inutile perché Francesco Pagano aveva immediatamente
esploso un colpo di fucile contro il Pellegrino che, ferito al fianco sinistro,
si abbatteva al suolo. Aggiungeva il Gallo che la vittima era stata colpita
circa 2 metri di distanza che subito dopo l’omicidio era stato costretto dal Francesco Pagano che lo aveva
minacciato col fucile, a consegnare la sua pistola mentre l’arma del Pellegrino
veniva raccolta dall’altro fratello prima di darsi, entrambi, alla fuga. I carrettieri di Enrico Cacciapuoti e Alfredo
Alemanna facevano ai carabinieri pressappoco le stesse dichiarazioni. Essi precisavano
peraltro che quando i fratelli Pagano
sopraggiunti armati per affrontare il Pellegrino anch’esso armato, il Cacciapuoti
era corso a trattenere il Francesco Pagano e che anche il Gallo, il quale
impugnava una pistola, aveva cercato di intromettersi fra i litiganti prima che
il Pellegrino fosse raggiunto dal colpo di fucile.
Avv. Giuseppe Garofalo |
Si dava corso, pertanto, da
parte degli inquirenti alla istruttoria formale a carico dei fratelli Francesco e Nicola Pagano, entrambi latitanti, i fatti formavano oggetto di
altro rapporto dei carabinieri di Casal di Principe in data 8 settembre 53.
Oltre a confermare i precedenti risultati i militi della Fedelissima riferivano
che alla stazione dei carabinieri era pervenuto il referto del dottor Carlo Dell’Aversana da San Marcellino, datato 28 agosto 53, nel quale si dichiarava che verso le 21
precedente era stata riscontrata al giovane Nicola Pagano una ferita contusa alla testa lunga cm. uno e
interessante cute sottocute. Si aggiungeva che il predetto Pagano – tratto in
arresto il 2 settembre - indossava una camicia imbrattata di sangue; e che lo stesso aveva dichiarato di essere
accorso sulla strada dove sostavano i carri carichi di canapa perché richiamato
dalle grida del fratello e di essersi trovato improvvisamente di fronte al
Roberto Pellegrino il quale, dopo aver esploso contro di lui un colpo di pistola, lo percosse
ripetutamente alla testa col calcio dell’arma producendogli le lesioni
riscontrate dal medico.
Il giovane negava, peraltro, di
essere stato anche lui armato di una pistola e affermava di non conoscere le
modalità dell’omicidio del Pellegrino. L’11settembre, in occasione del mandato
di cattura emesso dal Giudice Istruttore per il reato di omicidio, veniva tratto
in arresto anche Francesco Pagano. L’imputato dava la seguente versione sui
fatti. Il mattino del 27 agosto, mentr percorreva la stradetta che dal
santuario della Madonna di Briano conduce alla strada provinciale trasportando
con un carro la canapa del Gallo, si era incontrato con il carro del Pellegrino
per cui aveva invitato questi a spostarsi sulla destra. All’arrogante rifiuto
dello altro egli aveva fermamente manifestato il proposito di non muoversi
dalla strada finché non si fosse giunti ad una pacifica soluzione. Il Pellegrino
aveva allora risposto con le minacce estraendo dal fianco la pistola ed
esclamando: “Ora ti tiro un colpo”.
Impaurito per tale minaccia egli si era portato nell’abitazione del padre ma,
incontratosi col Gallo, questi lo aveva indotto ad affrontare il Pellegrino
armandolo, anzi, del suo fucile. E però appena accortosi che l’avversario era
il Pellegrino, suo parente, il Gallo gli aveva improvvisamente puntato la sua
pistola alla schiena intimandogli di non muoversi e quindi disarmandolo. Nel
frattempo il Pellegrino esplodeva un colpo di pistola, andato a vuoto, contro
il fratello Nicola che li aveva seguiti poi lo percuoteva alla testa col calcio
dell’arma. Egli aveva perciò tentato di impadronirsi del fucile e nella breve
colluttazione sorta con il Gallo, l’arma era esplosa ferendo mortalmente il Pellegrino.
Concludeva affermando che l’Alemanno, dopo il ferimento, aveva esclamato,
rivolto al Gallo: “Don Leonardo che avete
fatto?”. Egli stesso gli aveva gridato: ”Disgraziato, perché hai sparato?”. Che Gallo, intimidito, aveva
risposto: “Che ho sparato io?”…
mentre ognuno si allontanava per proprio conto.
A seguito dell’arresto dei due
imputati i carabinieri di Villa di Briano svolgevano ulteriori indagini gli
stessi concludevano che l’arma adoperata per l’omicidio e non poteva appartenersi
al Gallo perché nell’abitazione di quest’ultimo è stato rinvenuto il suo fucile
calibro 16, coperto di polvere senza traccia di recente sparo. Che la lesione
riscontrata al Nicola Pagano doveva
ritenersi appositamente provocato da quest’ultimo in quanto nessun teste aveva
confermato l’episodio dell’asserito ferimento da parte del Pellegrino.
Riferivano inoltre che il Pellegrino era il figliolo di una cugina del Gallo e
che lo Alemanno aveva recisamente negato
che il Gallo fosse armato di fucile e che, a seguito dello sparo, alcuni
avessero rivolto parole di rimprovero al predetto. Nel corso della formale istruttoria
gli imputati confermavano sostanzialmente, le loro dichiarazioni ma chiarivano
che l’arma del Pellegrino non esploso colpi perché non aveva funzionato. Il
Gallo, da parte sua, ammetteva di aver impugnato la pistola durante l’incidente
ma solo perché essa era caduta dal fodero durante la corsa. Precisava di non
aver seguito immediatamente il Pagano ma di essere accorso solo quando aveva
appreso dal custode del Santuario della Madonna di Briano che “i due fratelli stavano facendo del male al
figlio del rosso” (alias Roberto
Gallo) suo parente; giunto sul posto
si era accorto che l’avversario dei Pagano era il Pellegrino. La sorella degli
imputati, Lina Pagano, dichiarava
invece che il Gallo, intervenuto nell’incidente, aveva esclamato in tono
minaccioso all’indirizzo dei fratelli: “Questi
oggi vogliono fare i morti!”. Michele Schiavone – presente al fatto - affermava di avere sentito chiaramente la
frase: “Piglia o ribotto!”, riferita da Francesco Pagano al fratello e che avendo visto i due giovani
andare incontro al Pellegrino aveva cercato di trattenere Francesco Pagano che però si
era subito svincolato continuando ad avvicinarsi al suo avversario; e di avere
udito la seguente frase, poco prima dell’esplosione del colpo di fucile: “Posa la pistola che ti dobbiamo fare una
paccheriata”, pronunziata probabilmente da Francesco Pagano, mentre Leonardo
Gallo gridava: “I figli di Paolo
vogliono morire; essi si stanno litigando con mio cugino”. I fratelli Francesco e Pasquale Schiavone si
limitarono a dichiarare di aver udito soltanto la frase: “Piglio o ribotto!”, detta
da Francesco Pagano e, dopo pochi minuti, il colpo di fucile. Il suocero di
Francesco Pagano, Giuseppe Iovine
dichiarava che nella prima quindicina di settembre era stato sollecitato dal
Gallo - tramite certo Raffaele Di Nardo -
a recarsi in casa di un certo Francesco
Russo per assumere l’impegno in nome del genero e dietro corrispettivo di
una determinata somma di non nominarlo nell’inchiesta giudiziaria. Aggiungeva
che l’incontro non avrebbero avuto luogo per essersi recato con ritardo all’appuntamento.
Tale circostanza veniva confermata dal Di Nardo il quale precisava che il Gallo
intendeva offrire la somma di lire 150 o 200 mila purchè Francesco
Pagano si fosse impegnato a tacere il suo intervento nella lite.
Il Francesco Russo, cognato del Gallo, dichiarava invece che l’appuntamento
aveva solo scopo di liquidare i conti per il trasporto della canapa effettuata
dai Pagano purché gli stessi si fossero impegnati a restituire la pistola. Luigi Iovine affermava di aver
accompagnato il fratello Giuseppe in
casa del Russo per incontrarsi con il Gallo ma di non averlo trovato.
Luigi Nappa affermava infine di aver assistito
all’incidente del 27 agosto di aver udito, in particolare, il Francesco Pagano che aveva detto al
Pellegrino: “ Tu getta la pistola che io
getto il ribotto”, senza che l’altro accogliesse l’esortazione perché si
dava a colpire col calcio della pistola il fratello Nicola che era
disarmato. Aggiungeva il teste che un
uomo anziano (probabilmente il Gallo) aveva cercato di trattenere il Francesco
Pagano che, però, riusciva svincolarsi gridava: “ Lasciami perché quello uccide mio fratello”; che egli impaurito dalla piega degli
avvenimenti si era allontanato prima ancora del tragico epilogo. Eseguita la
perizia necroscopica venivano confermati i rilievi del medico refertante concludendosi
dai periti che la morte del Pellegrino era sopravvenuto per “imponente emorragia causata dalle lesione di
grossi vasi dell’emitorace sinistro e per lesioni dell’aorta addominale. Che le suddette
lesioni erano state causate da un colpo di fucile caricato a pallini ed esploso
a breve distanza perché aveva prodotto la frattura comminuta della decima
costola; che la direzione del colpo era da
dietro in avanti e l’offensore si doveva trovare alla sinistra della vittima,
leggermente alle spalle.
Fonte:
Archivio di Stato di Caserta
Avv. Michele Verzillo |
Gli
imputati venivano rinviati al giudizio della Corte di Assise di Santa Maria
Capua Vetere (Presidente, Giovanni
Morfino; giudice a latere, Renato
Mastrocinue; pubblico ministero, Nicola
Damiani) per rispondere dell’omicidio volontario in danno di Roberto Pellegrino e nella prima udienza si costituivano, oltre al
padre del Pellegrino, già costituitosi
nella fase istruttoria, parte civile anche la sorella Lucrezia. La Corte, accedendo ad apposita richiesta di tutti i
difensori, eseguiva l’ispezione giudiziale dei luoghi in cui erasi verificato
il delitto di omicidio dando atto, tra l’altro, che la casa del Pagano padre
era distante quasi 200 metri dal luogo
ove si era verificato l’incidente. A conclusione del dibattimento le parti
civili concludevano per l’affermazione della responsabilità. Il pubblico
ministero chiedeva la condanna per entrambi gli imputati per il delitto con
l’attenuante della provocazione ad anni 18
di reclusione ciascuno. I difensori degli imputati sostenevano la tesi
della legittima difesa, in subordine dell’eccesso colposo; per Nicola Pagano si
chiedeva l’assoluzione per non aver commesso il fatto, ovvero per insufficienza
di prove. In linea subordinata si invocava l’applicazione delle attenuanti
generiche e della provocazione relativamente all’omicidio nonché ancora più in
subordine – per il solo Nicola
Avv. Vittorio Verzillo |
Pagano – l’ulteriore attenuante della minima partecipazione. La Corte concludeva affermando la responsabilità…”Quanto alla qualificazione giuridica dell’episodio appaiono integrati gli estremi del delitto di omicidio volontario del quale dovrà rispondere anche il Nicola Pagano con l’attenuante, però, per aver voluto un reato meno grave. Sussiste, peraltro il reato di violenza privata aggravata per il quale dovrà essere condannato il solo Francesco Pagano assolvendosi invece il fratello per non aver commesso il fatto. Ai due rei spetta, in ordine al delitto di omicidio, l’attenuante della provocazione risultando in modo pacifico che l’aggressione criminosa maturò nell’animo dei colpevoli per l’ingiusto comportamento del Pellegrino che, con il ricorso alle minacce, dovè provocare grave risentimento nell’animo dei due giovani. La pena per il delitto di omicidio che si stima fissare – conclusero i giudici – in anni 21 di reclusione per entrambi gli imputati in considerazione delle modalità dei fatti può quindi ridursi di un terzo. Potendosi inoltre concedere ai due imputati le attenuanti generiche in considerazione dei loro ottimi precedenti penali e della loro giovanissima età. La pena per il reato di omicidio può definitivamente fissarsi per Francesco Pagano in anni 12 di reclusione. Dovendosi applicare al Nicola Pagano l’attenuante la pena di anni 14 di reclusione va diminuita ad anni 8. Nei tre gradi di giudizio furono impegnati gli avvocati: Vittorio e Michele Verzillo, Giuseppe Garofalo, Ciro Maffuccini, Ettore Botti, Giovanni Leone e Giovanni Porzio.
Fonte: Archivio di Stato di Caserta
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