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lunedì 15 agosto 2011

ESCLUSIVO: OGNI LUNEDI' SU GAZZETTA DI CASERTA















Accadde a Parete nel 1955
 30 anni al giovane che uccise 3 persone  
AVVELENO’ LA MOGLIE( CHE ASPETTAVA UNA BAMBINA )  E IL FIGLIO -  POI UCCISE IL FIDANZATO DELLA COGNATA   PERCHE’ VOLEVA SPOSARLA -

Ritenuto sano di mente la Corte di Assise di S. Maria C.V. lo condannò all’ergastolo. – Pena ridotta in appello.  Veleno nel latte –

     


 Caserta -  Del “mostro” venticinquenne Pasquale Maione,  da Parete,  pochi ricorderanno i suoi tragici e dissennati  gesti. Si trattava di un  “folle reo” ( perché poi… alla fine confessò), oppure di un “reo folle”,  come dicono gli strizzacervelli? A leggere le cronache dell’epoca pare rivedere davanti agli occhi le scene dell’”Elogio della Follia” di Erasmo da Rotterdam. Un delitto crudele, barbaro, inumano, eseguito con una lucidità da un perfido mostro. Un delitto da  pena di morte… insomma. Buon per lui che era stata abolita 15 anni prima dei suoi crimini.

      L’uomo, follemente innamorato della cognata Maddalena Comune
( all’epoca 18enne )  avvelenò con dell’anticrittogamico la moglie Anna Comune di 24 anni ( che,  tra l’altro,  aspettava una bambina ) e il figlioletto Luigi di di 4 masi. Poi tese una imboscata al fidanzato della cognata Tobia Clausino,  di anni 18, e mentre questi,  in bicicletta,  attraversava una strada di campagna gli sparò due colpi di pistola.  

     Teatro di questa triste e squallida vicenda,  furono le zone dell’agro aversano,  tra Parete e Lusciano,  dall’aprile del 1955,  al marzo del 1962,  giorno in cui fu emessa la sentenza di appello. La Corte di Assise del Tribunale di S. Maria C.V. aveva condannato il “mostro” alla morte bianca infliggendogli un  ergastolo per i suoi 4 omicidi: la moglie, il figlio, la nascitura e il fidanzato della cognata. Mentre la Corte di Assise di Appello  di Napoli,  condannò poi,  in via definitiva il Maione – con il ricoscimento delle attenuanti generiche – alla pena complessiva  di anni 30 di reclusione.

    Ma prima di addentrarci nei meandri della truce storia ci domandiamo, ma è normale un individuo che progetta un tale disegno criminoso? Quali probabilità  di impunità? E come avrebbe potuto raggiungere il suo scopo,  lasciando tracce dei suoi delitti in ogni dove? Ma dove può portare la passione, l’amore  per una donna? A delitti come questi? Ad altro?  E… per dirla col poeta “L’amore piace per la gioia e per il dolore, per la speranza e per la delusione, per la fortuna e per la sventura, perché è l’unica passione in cui tutto ha valore”. ( Stendhal).

    

      Nei miei oltre 40 anni di cronista giudiziario, però, nonostante abbia seguito migliaia di processi con moventi aberranti questo mi sembra veramente da “guinnes” dell’orrore. Aveva ragione, allora,  il grande avvocato Alfredo De Marsico se al termine della sua arringa,  in difesa della vittima di Aurelio Tafuri ( un giovane massacrato e gettato nel Volturno )  allorquando affermò:”Uomo, guardati dall’uomo, capace di azioni più crudeli delle belvi”.

     Sulle prime “l’orco”,  tratto in arresto dai carabinieri di Aversa,   negò ogni addebito. Ma il rapporto partito dalla stazione di Parete lo inchiodò alla sue responsabilità.  “L'accusato", tratto in arresto nega. Ma ha ammesso di avere tentato una volta di attuare il criminoso disegno. Un “caso” di delinquenza, messo in atto con incredibile crudeltà,   che  potrebbe  portare ad un processo forse unico nella storia giudiziaria italiana, avvenuto nel piccolo centro di Parete, è all'esame delle autorità inquirenti”.

     “Il protagonista – scrive il maresciallo comandante la Stazione di Parete -  la cui personalità non si sa ancora se definire  “losca” o “folle”,  ma certamente assassina,  è il 25enne Pasquale Maione, la cui moglie Anna Comune, di 24 anni, mori la notte del 3 aprile scorso; la giovane era in stato interessante e il  suo decesso seguì di pochi giorni quello del  figlio  Luigi, di 4 mesi, attribuito a paralisi infantile. La donna morì   tra atroci spasimi e sua madre Maria Luisa Pellegrino, ricordò che durante il giorno aveva assaggiato una pozione di  camomilla preparatale dal marito, rifiutandosi però di berla tutta poiché  “puzzava come fosse vetriòlo”. 

      Alcuni vicini di casa riferirono inoltre,  che  Pasquale Maione,  spesso si  recava  in casa del suocero Luigi Comune, ( quando la moglie era in campagna )  e lo si vedeva trattenersi e spessissimo  confabulare con la cognata Maddalena alla quale, giorni prima, aveva indirizzato una lettera nella quale, tra l'altro, le confessava di essere sempre e più che mai innamorato di lei e che tutto quello che era avvenuto lo aveva fatto perché intendeva sposarla.

     Perquisita l’abitazione della ragazza ( cognata del Maione  e già fidanzata con un giovane del luogo), veniva trovata la lettera incriminata. Nello stesso tempo venivano fermati la ragazza e Pasquale Maione; ma le indagini non si fermarono qui. Negli inquirenti nasceva il sospetto che alla morte del piccolo Luigi Maione e della madre di questi, il  Maione non fosse estraneo.

    A quanto si  apprese, l'accusato, messo a confronto con la suocera,  ammise  di aver somministrato mesi addietro del “solfato di rame” nei pasti della moglie e del figlio, di aver messo del veleno nel latte,  ma continuava  a negare di aver avuto intenzione di uccidere.

     Per fugare i sospetti,  il capo famiglia,  organizzò una cena alla quale prese parte  anche Tobia Clausino, il fidanzato ventitreenne della cognata  Maddalena, sorella di Anna. Il Maione,  però, benché atteso, non si presentò. Il giovane Clausino, dopo aver cenato in casa della fidanzata, si avviò in  bicicletta verso Lusciano, suo paese di residenza, quando, poco distante dal bivio “Parete-Trentola”,  venne raggiunto alle spalle da alcuni colpi di pistola. Raccolto da alcuni passanti; veniva trasportato a Napoli e quindi ricoverato all'ospedale dove morì dopo qualche giorno. Chi l’aveva ucciso e perché? Il paese è piccolo e la gente mormora… I carabinieri riuscirono – non senza fatica – a sbrigliare l’intrigata matassa.   

     Egli era – come detto -  fidanzato di  Maddalena Comune e nel mese precedente era giunta  alle orecchie dei carabinieri voce che Pasquale Maione — oltre a non essere affatto prostrato e  addolorato per la morte della moglie e del figlio, deceduti entrambi a pochi giorni di distanza l'uno dall'altro, ( la moglie, il 4  aprile ed il piccolo il 29 marzo) da qualche giorno lo si vedeva spesso circuire la giovane cognata.

      Messo nuovamente sotto torchio,  e contestategli tutti gli indizi che i carabinieri avevano raccolto il Maione, finalmente,  confessò l’orrendo crimine.  “Sì. Ho versato il veleno nel latte di mia moglie… ma non avevo intenzione di uccidere anche mio figlio… è stato un  errore”. Gli inquirenti ipotizzarono ( ma in parte avevano ragione ) che complice del duplice delitto fosse stata la cognata con la quale l'assassino coltivava una tresca.

     Al Maione, però,  non era stato ancora contestato l’omicidio del giovane Clausino, anche perché nessuno avrebbe potuto immaginare che per la sua passione amorosa,  un onesto lavoratore dei campi,  si fosse trasformato in un bieco assassino,  uccidendo la moglie che stava per partorire una bambina, il figlio di 4 mesi e addirittura  il fidanzato della cognata. 

    I fatti di questo delitto  - che costituisce uno  dei  più efferati del dopoguerra - ebbero inizio il 29 marzo del 1955, e si deve alla sagacia di un coraggioso sottufficiale dell’arma,  il comandante della stazione dei carabinieri di Parete, Mar. Giuseppe Galletta, se si giunge ad un epilogo nel quale trionfò la giustizia. Si pensi al tessuto sociale e all’epoca in cui si svolse il delitto, alla omertà della zona, alla presenza di bande e delinquenti di ogni risma che infestavano ( e purtroppo infestano)  l’agro Aversano.

     Il solerte comandante non si fermò di fronte  alle risultanze peritali. Il medico condotto Dr.  Salvatore  Falco, infatti,  aveva diagnosticato  per il piccolo Luigi  “un decesso da eclampsia infantile”.  Continuò le sue indagini e raccolse  “vox popoli” una voce sulla morte del bambino che ritenevano fosse stato avvelenato.

      Mentre i carabinieri  svolgevano le loro indagini sulla misteriosa morte del bambino, la sera del 3 dello stesso mese, alle 21.10, un'auto che passava in località “Santa Caterina”, lungo la  Provinciale  che da Parete reca a Napoli, raccolse, gravemente ferito, un giovane, Tobia Clausino, da Lusciano, che fu ricoverato all'ospedale dei Pellegrini perché attinto da due colpi di pistola al torace, con lesione di un polmone. Il giovane, interrogato vin punto di morte  dichiarò che, mentre percorreva la via in bicicletta, aveva udito i colpi e s'era abbattuto, senza poter indicare altro. Ma i carabinieri di Parete accertarono che, in quel giorno, in quella via, vi era stato il  Maione. Un altro elemento che li orientò fu che il Clausino era fidanzato con Maddalena Comune, cognata del Maione, la quale, secondo le voci, era da un anno l'amante del cognato.

     Il Maione, fermato, non solo si confessò autore del ferimento, ma aggiunse di avere agito cosi perchè temendo che il  Clausino gli portasse via la ragazza — con cui convenne d'avere una relazione -  aveva voluto vendicarsi. Intanto il mattino del 4 aprile, all'ospedale degli incurabili di Napoli, moriva improvvisamente anche la moglie del Maione. Questa morte, giudicata normale dai sanitari, aumentò invece 1 sospetti dei carabinieri e il maresciallo Galletta compì una perquisizione nella casa del Maione trovandovi una lettera da lui scritta all'amante;  lettera in cui egli, pur  esprimendosi genericamente, diceva di aver ormai fatto il necessario per realizzare le sue promesse e i comuni sogni.

     Da questa rapporto epistolare  si svilupparono nuove e serrate indagini  ed il conseguente  l'ordine della Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere,  di esumare il cadavere della donna  per una perizia tossicologica. Ma ormai la stessa perizia era stata  in gran parte superata dalla spontanea ed ampia confessione dall'accusato che, presente il  comandante della tenenza di Aversa, Ten. Antonio Messina, narrò di come  ideò e come, poi, attuò il suo piano. La giovane Maddalena, sorella della moglie, di cui egli si era pazzamente innamorato, ogni tanto gli diceva che, avendo ormai lei una certa età, i genitori e i suoi quattro fratelli le consigliavano di non continuare a respingere le numerose offerte' di matrimonio. Allora, per evitare che Maddalena si maritasse, decise di sposarla lui.  

     “Il 26 marzo — spiegò l’assassino nella sua orribile confessione   — nella notte,  grattai all'interno dei  recipienti di rame e misi la polvere in una bottiglia di latte che sapevo destinata a mia moglie; il mattino mi recai regolarmente al lavoro in campagna, ma verso mezzogiorno, stimolato dalla curiosità, per vedere che. cosa fosse accaduto, ritornai a casa.  Niente. Anna non aveva avvertito nessun disturbo. Attesi altri tre giorni e il 29, improvvisamente, mio figlio si sentì male e poco dopo mori. Allora capii che la madre aveva fatto, bere al bambino una parte del latte. Poi, il 4 aprile, fu mia moglie a sentirsi male,  insieme ai suoi genitori l'accompagnai a Napoli, all'ospedale degli Incurabili. Poiché il medico di Parete aveva parlato di disturbi da gravidanza, essa fu ricoverata nel reparto ostetrico; ma là i sanitari, dopo averla visitata,  esclusero che si trattasse di gravidanza e la trasferirono a un altro reparto di medicina dove, in serata, morì”.

      A questo punto,  gli stessi carabinieri, pur allibiti dal racconto, continuarono  a scandagliare nella vita dei protagonisti,   per giungere al vero movente del duplice delitto. Fu convocata quindi la “cognata-amante”, Maddalena, sorella della morta e posta a confronto con il reo confesso. “Sapevate del piano di vostro cognato?”, chiese il Ten. Messina ». E la donna, fra lo stupore dei militi, disse: “Sì”.  “E…non interveniste per avvisare vostra sorella?... incalzò il Ten. Messina.    “Non potevo - rispose  lei - perchè lui (e  guardò l'amante) mi aveva detto chiaramente, ed era uomo da farlo, che se avessi parlato mi avrebbe uccisa”.

     Pasquale Maione fu tratto a giudizio  per triplice omicidio aggravato,  mentre  Maddalena Comune,  per correità nell’omicidio della sorella e del piccolo Luigi. La Corte di Assise del Tribunale di S. Maria C.V. lo condannò, come detto,  all’ergastolo assolvendo la ragazza dalla complicità. Quel giorno,  narrano le cronache dell’epoca, nell’aula della Corte di Assise,  gremita fino all’inverosimile,  all’atto della lettura della sentenza, che condannava il  “bieco assassino”,  alla morte bianca,  con un timbro sulla  sua scheda  nella matricola del carcere  con “fine pena mai”, scoppiò un fragoroso applauso.  Il giudizio di Appello svoltosi 7 anni dopo i delitti,  vide la richiesta della conferma della condanna all’ergastolo, da parte della pubblica accusa,  per il Maione,  ma la Corte,  dopo le arringhe difensive,  che invocarono “pietà” per quel misero bracciante agricolo, e dopo   5 ore di permanenza in Camera di Consiglio, concesse le attenuanti generiche e lo condannò soltanto a tren’anni di galera.










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